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Disagio giovanile: perché i giovani si isolano e cosa possono fare i genitori per aiutarli

  • Immagine del redattore: Fabio
    Fabio
  • 19 nov
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 7 giorni fa


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Il fenomeno del disagio giovanile sta diventando sempre più evidente: tanti ragazzi e ragazze oggi, pur vivendo costantemente connessi tra social, chat e contenuti, raccontano di sentirsi soli. Come se appartenessero a un mondo che non li capisce davvero. 

Li vedi per ore attaccati al telefono, spesso nella loro stanza e anche quando sono a tavola con noi non ci sono mai del tutto. Sono connessi ad una dimensione che non corrisponde con quello che accade “qui ed ora”.

In loro nascondono una solitudine silenziosa, che cresce dietro uno schermo. E’ un problema enorme, che coinvolge una grossa fetta di adolescenti, avendo ripercussioni sulle loro relazioni, sulle aspettative e sul modo in cui vivono la loro identità. 

Ma da dove ha inizio tutto questo? Quali le cause?


La radice del disagio giovanile nella Generazione Z ed il ruolo dei genitori

Il disagio giovanile della Generazione Z è il risultato di una serie di pressioni che si accavallano. Da un lato ci sono i social, che mostrano solo il lato perfetto della vita e fanno credere ai ragazzi che non essere “eccezionali” equivalga all’essere sbagliati. Dall’altro c’è il mondo reale, dove spesso si sentono invisibili o non abbastanza ascoltati. 

Ma chi è che non li ascolta? Da chi questi ragazzi vorrebbero essere più ascoltati? La risposta a queste domande potrebbe rappresentare la chiave che aiuta a comprendere - e magari a risolvere - tutto questo disagio, spesso sottovalutato da noi adulti.

C’è una grande verità che molti genitori evitano di “guardare in faccia”: spesso i ragazzi non parlano perché non si sentono al sicuro neanche con gli adulti che dovrebbero proteggerli

Troppi genitori pensano che “stare in casa insieme” significhi essere presenti, ma non basta convivere sotto lo stesso tetto per essere vicini ai propri figli. Essere presenti vuol dire ascoltare davvero, mettersi in discussione, imparare a non giudicare

Quando tutto questo viene meno, i figli imparano velocemente a chiudersi in se stessi. Ed è in quel silenzio che il disagio cresce. Un disagio che in molti casi, dunque, non arriva dall’esterno… ma si forma proprio dentro le mura di casa.


Se un figlio si isola spesso è perché non ha trovato in famiglia un luogo dove potersi aprire senza paura 

Ogni volta che un genitore risponde a un problema minimizzandolo, ridicolizzandolo o usando toni moralistici, aggiunge un mattone al muro che separa il ragazzo dal mondo degli adulti. E quel muro, un mattone alla volta, diventa una prigione emotiva dalla quale i giovani non sanno come uscire.

E allora, prima ancora di chiedersi “cosa hanno i ragazzi di oggi?”, sarebbe più onesto chiedersi:

Dove ero io mentre mio figlio si sentiva solo?Cosa non ho voluto ascoltare?Perché ho preferito giudicare invece che capire?

Sono domande scomode, ma fondamentali. E forse il punto è proprio questo: in fondo nessuno ci insegna a fare i genitori. Non esiste un manuale, una scuola o un percorso obbligatorio che ti spiega come gestire le emozioni di un figlio, come riconoscere un segnale di disagio, come parlare quando loro tacciono. Si improvvisa, si va a tentoni, spesso ripetendo gli stessi errori che abbiamo subito noi da piccoli. 

Ma se nessuno ci insegna, allora diventa ancora più importante avere l’umiltà di ammettere che da soli non sempre siamo abbastanza. Che a volte serve un supporto esterno, qualcuno che offra ai ragazzi uno spazio diverso, più leggero, neutrale, dove possano ritrovare fiducia e prospettive nuove. E magari, proprio attraverso questi spazi, anche i genitori imparano finalmente a capire come essere quel punto fermo che i figli cercano… e che troppo spesso non trovano.

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